Il Liceo Marconi di Foggia ad Auschwitz-Birkenau


Per il Viaggio-Progetto Il Treno della Memoria

“Non sono gli occhiali, o le valigie, o le scarpe, tutte quelle scarpe, a farmi impressione, quanto quella montagna di capelli ingrigita, che il tempo ha uniformato nell’aspetto e nel colore. Sì, perché mi fanno pensare che gli Ebrei sono stati spogliati non soltanto degli effetti personali, che rimangono comunque delle cose, ma soprattutto che sono stati privati di una parte di loro stessi, così importante come lo sono i capelli, soprattutto per le donne”.

Questo il commento amaro di un’alunna, partecipante al viaggio-progetto Il Treno della Memoria, organizzato dal Liceo Scientifico Guglielmo Marconi di Foggia per gli studenti meritevoli, tra il 3 e il 9 febbraio 2019, nell’intento di valorizzare le eccellenze dell’istituto. Il progetto prende spunto da un primo viaggio, compiuto dalla scuola circa due anni fa, presso il Memoriale dell’Olocausto, al binario 21 della stazione di Milano. Perché era proprio da lì che partivano i treni della morte diretti ad Auschwitz-Birkenau, dove si sarebbe consumata la soluzione finale di Hitler. I deportati erano Ebrei, preti cattolici, comunisti, omosessuali, zingari, handicappati, dissidenti politici, criminali comuni, e tutti coloro i quali si opponevano al regime nazifascista. In questo viaggio-scoperta degli orrori del Novecento, hanno accompagnato gli alunni la Dirigente del Liceo Scientifico Marconi, professoressa Piera Fattibene; la Coordinatrice del Dipartimento di Storia e Filosofia, professoressa Antonietta Pistone; i docenti Salvatore Gambuzza, di Storia e Filosofia; e Lucio Salvatore, di Religione. I partecipanti, che dovranno redigere una relazione, un articolo di giornale, un collage di foto documentarie, un power point, o un video dell’esperienza, riceveranno un attestato di merito che sarà valutato dai docenti di storia e filosofia nell’esprimere la votazione finale conclusiva dei propri alunni.

La visita presso il Museo dell’Olocausto, situato nei blocchi della vecchia caserma, poi adibita a campo di concentramento, ad Auschwitz, ha impressionato molto di più delle stesse baracche di Birkenau. Probabilmente proprio perché se all’interno dei moduli abitativi di Auschwitz, o delle baracche di Birkenau, per quanto fossero squallide, si respirava ormai un’aria di passato, nel Museo dell’Olocausto la vita, così come l’avevano condotta i deportati fino ai campi di sterminio, per la soluzione finale, era ancora orribilmente presente nei loro oggetti di vita quotidiana, come le stoviglie; il necessario per la toelette, e persino gli stessi capelli dei deportati, che venivano utilizzati per farne tessuti, o imbottiture di cuscini e materassi. Tutto veniva riciclato, occhiali, scarpe, valigie. E quei disgraziati perdevano ogni dignità umana, spogliati persino degli abiti, a coprire la nudità dei corpi, brutalizzati e sfigurati dalle dure condizioni di sopravvivenza imposte nel campo: freddo; fame, sevizie e punizioni, che conducevano alla morte un gran numero di quelli che, più fragili psicologicamente e meno resistenti fisicamente, morivano di stenti ben prima di approdare alle terribili camere della morte, dove sarebbero stati sterminati col gas Zyklon B, per essere poi ridotti in cenere nei forni crematori.



Il viaggio della memoria, fatto interamente in pullman,  ha voluto ripercorrere alcune tappe importanti dell’Olocausto, attraversando paesi europei, come la Slovenia, l’Ungheria, la Slovacchia, la Cecoslovacchia, la Polonia, e, sulla via del ritorno, anche l’Austria.

Nella capitale ungherese, a Budapest, è stato possibile visitare il museo delle scarpe, situato sulla riva del Danubio, dove, negli anni della resistenza, dal 1943 al 1945, i tedeschi, ormai consapevoli dell’imminente disfatta della guerra, eliminavano direttamente in loco gli Ebrei ungheresi, senza deportarli più nei campi di sterminio, dove avevano iniziato a bruciare le fabbriche della morte, per impedire ai resistenti di trovare ancora tracce dei loro crimini di guerra. Mentre ad Auschwitz e a Birkenau venivano distrutti col fuoco i forni crematori, le camere a gas, e le baracche in legno, sulla riva del Danubio erano incatenati gli uni agli altri gli ultimi Ebrei ancora sopravvissuti, eliminati con un colpo di pistola al primo della fila che, cadendo in acqua, e affogando, trascinava con sé tutti gli altri del suo gruppo. Queste atrocità erano commesse per risparmiare anche sui colpi di pistola, in quanto con un solo proiettile venivano eliminati anche gruppi di tredici persone.

A Cracovia, altra tappa del viaggio, è stata visitata la fabbrica di Schindler, un museo interattivo che ricostruisce la storia degli anni della Seconda Guerra Mondiale nella città polacca. Ciò che impressiona è il progressivo cambiamento delle condizioni di vita quotidiana quando arrivarono i tedeschi e la città venne rastrellata.

Infine sulla via del ritorno, i partecipanti hanno visitato il centro storico di Trieste, luogo di uno dei campi di smistamento più noti d’Italia, la Risiera di San Sabba, dove occasionalmente avvenivano anche alcune esecuzioni, prima del trasferimento dei deportati nei lager tedeschi.

L’Italia è stata difatti sede di alcuni campi di raccolta e di smistamento dei deportati, tuttora visitabili a Manfredonia, a Sulmona, a Trieste, e in altre città della nostra penisola.

In particolar modo, la città di Trieste ha vissuto il periodo post bellico della Seconda Guerra Mondiale, divisa in due settori, A e B, rispettivamente occupati dai paesi filoamericani del Patto Atlantico e da quelli filosovietici del Patto di Varsavia, proprio come accadde alla città di Berlino, in Germania, nel 1961, dopo l’edificazione del Muro. Soltanto nel 1954 Trieste tornò italiana.

Trieste visse poi anche il periodo della resistenza iugoslava, quando i partigiani di Tito iniziarono a catturare tutti gli italiani, unanimemente considerati fascisti, per infoibarli nelle cavità carsiche di Opicina e di Basovizza.

Ma il monumento alla Memoria Storica che lascerà una traccia indelebile nelle menti e nei cuori dei nostri alunni partecipanti al viaggio-progetto resta comunque il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau che, come ogni monumento che abbia dignità di questo nome, è una viva testimonianza dell’orrore di quegli anni bui della storia del Novecento. Che è lì a mostrare l’abisso in cui si può precipitare quando una qualunque ideologia, il potere o il denaro sostituiscono la centralità che l’essere umano dovrebbe sempre mantenere sul palcoscenico della Storia, come soggetto e giammai oggetto degli eventi e dei fatti nel loro dipanarsi e accadere.

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