Le Città Invisibili



Le città invisibili sono quelle svuotate dalla pandemia, quelle distrutte dalle guerre, quelle spopolate dalle assenze delle persone che non riusciamo ad incontrare o che non vedremo più perché non ci sono più... Ma sono anche quelle dei luoghi che non abbiamo ancora visto e che visiteremo solo nei sogni. E poi quelle interiori, della geometria sentimentale, nascoste all'altrui sguardo di superficie. Ogni città è ciò che è e ciò che non è ancora, ma potrebbe essere. Ad ogni città reale corrisponde il mito di una città ideale... Fuori e dentro di noi...

Antonietta Pistone, Le Città Invisibili (Edizioni del Poggio, Aprile 2022)

Dall’Introduzione…

"L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” (Marco Polo ne Le Città Invisibili di Italo Calvino, cit.).

Così termina il racconto romanzato del 1972, Le Città Invisibili di Italo Calvino. La narrazione è scritta in forma di dialogo tra l’esploratore veneziano Marco Polo e l’imperatore dei Tartari Kublai Khan, tra i primi fondatori della Cina, dove il viaggiatore italiano si era recato nella sua spedizione in Asia, intorno al 1298, insieme al padre Niccolò e allo zio paterno Matteo. Le memorie di questo viaggio sono narrate nel Milione, libro che poi ispirò Cristoforo Colombo che, nell’intento di raggiungere le indie orientali, seguendo il percorso di Marco Polo, giunse nel 1492 sulle coste dell’America Centrale, senza averne piena consapevolezza.

Nel romanzo di Calvino, Polo descrive a Kublai Khan le città visitate nel corso dei suoi viaggi esplorativi, ma spesso si ha la sensazione che la narrazione delle vicende personalmente vissute dal veneziano, si confonda con memorie e immagini fantastiche, o con nozioni apprese facendo girare il mappamondo, o dando uno sguardo all’atlante. In fondo, sostiene Polo, tutte le città si somigliano, nella realtà, e le loro immagini si sovrappongono, nella memoria, anche a quelle delle città ideali, come La Nuova Atlantide, Utopia o La Città del Sole, sognate qualche secolo dopo dai filosofi Francesco Bacone, Tommaso Moro e il Campanella.

La città non è solo quella che è, ma anche ciò che disegna la sua prospettiva, diversa per ciascun suo visitatore, e arricchita dalla geografia sentimentale che descrive Ortega nei suoi Saggi.

Ma, soprattutto, la città vive anche di una sua dimensione interiore, nel pensiero di chi la abita, o la attraversa. Tanto che a ogni città reale si sovrappone una città ideale, immaginata, e vissuta, nello spazio intimo della psicologia di ciascuno. E questa è propriamente la dimensione delle Città Invisibili, che non appaiono realmente all’occhio umano, ma che occupano un posto tanto più importante per la coscienza di chi ne faccia esperienza, in quanto vanno a disegnare quella cartina interiore dei luoghi e delle emozioni, che costituiscono, nel loro insieme, la dimensione personale e soggettiva del vivere e dell’abitare i luoghi.

A questo sentire, interiore ed intimo, si ispira il mio ultimo lavoro, Le Città Invisibili, che prende il nome proprio dall’opera omonima di Italo Calvino, ma anche da una mia poesia, che dà il titolo al libro, costituito da una prima parte, composta da liriche; e da una seconda parte, in cui è presente un racconto, che rimarca il tema del viaggio, in qualche modo anche di un ritorno a casa, di un nostos ideale, della protagonista, nel suo andare alla ricerca dell’amato, ma soprattutto di se stessa, e della sua dimensione più autentica del vivere. In questo senso, ogni città rivive nella vita di chi la abita, la attraversa, la percorre, e la visita. E ciascun viaggiatore, o abitante, si porta dietro le sue memorie di vita, ma anche la sua stessa città di origine. Riflessione che fa dire al Marco Polo di Calvino che in ogni città da lui descritta c’è un aspetto della sua Venezia, come se tutte le città del romanzo fossero tante espressioni diverse di una sola protagonista, che rimane Venezia, e che è sempre la Serenissima.

Allo stesso modo, io amo viaggiare, per conoscere e visitare luoghi ignoti e sconosciuti, e per parlare con la gente che incontro strada facendo; ma desidero ritornare alla mia casa, luogo degli affetti; e alla mia città, odiata e amata, al tempo stesso, per tutte le contraddizioni che si porta dietro, e che rappresenta in un continuo confronto con le altre realtà italiane e del mondo intero.

Viaggiare diventa, perciò, un’indispensabile esperienza di vita e di crescita, che riporta a casa quel pezzetto di mondo smarrito dalla città nella quale ci troviamo a vivere, tante volte contro la nostra consapevole volontà, in una continua nostalgia di quel luogo incantato, ed agognato nei sogni, che ci manca, e che vorremmo ancora avere e conquistare.

E tante volte, quel luogo, non è soltanto lo spazio fisico di un sito geografico, ma una memoria dello spirito che si perde lontana nel tempo degli affetti e degli amori che ancora non conosciamo.

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