L’imbecillità è una cosa seria

 


Soprattutto ai tempi di internet

Ne L’Imbecillità è Una Cosa Seria Maurizio Ferraris spiega che l’uomo allo stato di natura, privo di bastone, inteso come un ausilio, un utensile, un arnese, una protesi, di qualunque tipo essi siano, è un in baculum, imbecille, nel senso di manchevole di un supplemento tecnico. Questo perché la tecnica, a parere di Ferraris, non ci aliena, bensì ci rivela, nella nostra più autentica natura di esseri umani, in quanto soltanto gli umani sono in grado di utilizzarla per scopi intelligenti, o per risolvere i problemi. Il bastone, di cui scrive il filosofo torinese, potrebbe essere ben assimilato alla leva di cui parlava Archimede “datemi una leva e vi solleverò il mondo”, ma anche alla bacchetta delle fate, o alla tecnica della parola, della formula magica, pronunciata nella forma dell’incantesimo a fin di bene o del maleficio delle streghe, o ancora della scrittura nel Mito di Theuth di cui dice Platone nel Fedro. Tecniche che si sono poi andate affinando nelle più moderne espressioni della Computer Scienze, attraverso Internet, cellulari, tablet, ipad, e fino alla più recente IA generativa di chat GPT o di altre piattaforme simili. E così come avveniva nel Mito di Theuth, quando il re Thamus esprimeva le sue remore nei confronti di una tecnica che avrebbe potuto indebolire la memoria umana, oggi ci troviamo sempre più spesso a riflettere sulle possibilità e sui rischi dell’intelligenza artificiale, usata ed abusata, soprattutto dai più giovani, ma anche da alcuni soggetti maturi, che rivelano sui social tutta la loro imbecillità. E sì perché se un tempo l’imbecillità era più facile da nascondere, in quanto la chiacchiera, sebbene passasse di porta in porta a designare lo scemo del villaggio, era destinata a finire e a spegnersi – verba volant – la scrittura di un post, la pubblicazione di un qualcosa online – o per meglio dire onlife – è destinata a protrarsi, nel tempo, almeno fino a quando ci sarà ancora qualche uomo sulla faccia della terra, considerato che il web non potrebbe sopravvivere alla fine dell’umanità, essendo da essa stessa prodotto e mantenuto in vita – scripta manent. Ed è per questo motivo che l’imbecillità, dalla quale è afflitta comunemente tutta la razza umana – sebbene alcuni lo siano più di altri, è vero – è molto più evidente ed esponenziale sul web, all’epoca della quarta rivoluzione industriale, di quanto non lo fosse ai tempi preistorici delle caverne. Quindi, per la nostra comune natura umana, non possiamo fare a meno di usare le tecniche più disparate per assicurarci la sopravvivenza sul pianeta, e per risolvere i problemi, in maniera intelligente. Ma è necessario fare attenzione a come vengono usati questi supplementi dell’intelligenza – o dell’imbecillità – umana. Perché un loro uso sbagliato, ed eticamente scorretto, può rivelare a livello esponenziale quanto siamo imbecilli, piuttosto che intelligenti, nel senso classico della parola. L’invito, implicito nelle righe di questo interessante opuscolo sul buon uso delle tecniche, e delle tecnologie informatiche, è ad essere consapevoli dei rischi di questi mezzi, che esaltano quelle che sono le nostre capacità, ma ahimè mettono in luce anche i nostri difetti, evidenziando paurosamente i limiti della natura umana, che al fondo del genio nasconde pur sempre un imbecille allo stato di natura.


Bibliografia:

1. Maurizio Ferraris, L’Imbecillità è una Cosa seria, Il Mulino, Bologna 2017 


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