Dalla Magisofia alla Tecnosofia
Magisofia
La magia, nel corso della storia umana, è stata progressivamente sostituita dalla tecnica, perché la tecnica è magia, ed è alla base di quel comportamento magico che l’uomo pone in essere per vivere e sopravvivere, occupando il centro della scena, attraverso la conquista della stazione eretta, nonostante la sua ontologica condizione umana di fragilità e precarietà. Sono tecniche il canto e la poesia, il linguaggio, nella forma parlata, e la scrittura, la rappresentazione grafica, la capacità di calcolare, il poter immaginare, sognare, fare previsioni sul futuro, la cultura, la scienza, il sapere stesso in ogni sua forma. Tutto ciò che ogni giorno rende meno faticoso e più piacevole all’umano il difficile compito dello stare al mondo, dell’imparare a vivere, rendendo meno inospitale l’ambiente e la natura in quanto tale. La tecnica è dunque lo strumento, l’utensile, o la protesi che colmano il vuoto della mancata specializzazione dell’uomo rispetto all’animale, la cui sopravvivenza è legata alla nicchia biologica di riferimento e alle risposte istintive. L’uomo, di contro, ha dovuto sviluppare l’intelligenza naturale, incarnata ed attrezzata, laddove non era dotato di istinti e di output predeterminati agli stimoli ambientali esterni. Fino a giungere alla tecnica oggi più innovativa e versatile, che è costituita dalle applicazioni dell’intelligenza artificiale. È dunque finita l’epoca dell’homo faber? L’homo sapiens ha del tutto scalzato il faber fortunae suae? Personalmente non credo proprio. Se è vero che il tempo liberato dalle macchine e dall’intelligenza artificiale potrà essere fruttuosamente utilizzato per l’educazione e l’apprendimento, e dunque per potenziare le virtù dell’homo sapiens, è anche altrettanto vero che, proprio perché l’umano è, in sé, un animale tecnologico, e che del sapere teorico sa farsene ben poco in assenza delle sue applicazioni operative, quanto più si sviluppano la scienza e la conoscenza teoriche, tanto più, e a maggior ragione, è necessario prevedere a latere un progresso altrettanto veloce ed esponenziale delle competenze tecnologiche ed applicative, che rendano operativi, e pragmatici, i saperi umani. Quindi l’homo faber continua ad essere in piena evoluzione e sviluppo almeno quanto l’homo sapiens sapiens. Ed è chiamato in causa per il suo potere trasformativo sul mondo come sapiens cum virtute agendi, alla maniera in cui Giordano Bruno usava declinare l’attività del mago rinascimentale. La tecnosofia di cui parlano nel loro omonimo libro Maurizio Ferraris e Guido Saracco è, perciò, forse una magisofia dei tempi post contemporanei? Ma cosa è, appunto, la tecnosofia?
Tecnosofia
Tecnosofia è un testo di Maurizio Ferraris e Guido Saracco, pubblicato in prima edizione per Laterza a giugno del 2023. Un tema molto attuale, che propone un incontro duraturo, e non occasionale, tra umanesimo e tecnologia.
Il presupposto da cui parte tutto il lavoro a quattro mani dei due docenti torinesi è che gli esseri umani, senza tecnica, sono inadatti alla sopravvivenza. Inetti – sostiene Ferraris – o imbecilli, da in-baculum, senza bastone. Il bastone, difatti, come la leva, l’utensile, la protesi, servono, ad attivare comportamenti intelligenti, indispensabili a modificare la realtà, per potersi adattare ad essa. Questo perché l’essere umano, privo di alcuna specializzazione - cosa che hanno, invece, gli animali – deve sopperire a questa carenza della natura per poter sopravvivere anche in condizioni ostili, come in epoche assai lontane dalla nostra, quando le prime urgenze erano legate al bisogno di trovare un riparo per la notte, di potersi proteggere dal freddo, e di coprirsi, ma soprattutto di soddisfare la fame. La vita umana è, perciò, da sempre legata ad un mezzo, ad uno strumento, ad una tecnica, o all’intelligenza naturale che, attraverso l’evoluzione dei saperi, è diventata anche intelligenza artificiale.
La tecnica, per Ferraris, rivela l’uomo, e non accade affatto il contrario. Il Web, come data base mondiale, è uno strumento di catalogazione e di raccolta dei dati, che registra e che lascerà le nostre tracce ai posteri, proprio come accadeva di fare ai cavernicoli, magari non in modo intenzionale, quando incidevano i loro graffiti sulle pareti rocciose delle caverne. Avere oggi paura del Web è un po’ come temere la propria ombra, non vedendo che essa è generata dalla presenza corporea di un individuo reale, che quindi non è concepibile in modo separato ed autonomo dall’esistenza di un essere umano che si manifesti, prima di tutto, attraverso l’espressione somatica del proprio sé.
Ma c’è di più, in questo libro, ed è la costruzione di un’impalcatura delle tracce che l’umanità lascia, più o meno consapevolmente, sul web. Un edificio di circa dieci piani, che ci permette di capitalizzare quei dati che tutti rilasciamo, autorizzando le piattaforme ad usarli come meglio credono. Questione che ci fa temere per la nostra privacy, tra le altre cose. Perché non sappiamo come quei dati saranno utilizzati dopo che noi li avremo ceduti.
Ma passiamo a vedere come è strutturato questo edificio a più piani.
Il primo piano è quello dell’icnosfera, cioè delle tracce, dei reperti, anche nella forma di immagini, che l’umanità lascia, nel suo passaggio, alle generazioni successive. Vi è poi il livello dell’infosfera, che è costituita dalla gran mole di informazioni che l’uomo produce, nella forma dei documenti, nel corso del tempo, e che oggi si trovano nella disponibilità del web, in quanto grande apparato di registrazione. Il terzo piano è la docusfera, cioè l’insieme dei dati raccolti in un grande data base mondiale, che consente ai gruppi informatici di utilizzarli per produrre modelli previsionali che successivamente venderanno alle aziende leader nel settore di interesse, a prezzi elevatissimi. Ma questi dati vengono raccolti grazie alla mobilitazione generale di tutti gli esseri umani che lavorano, per quasi tutto il giorno, sul web. Un lavoro svolto a titolo gratuito, fatto volontariamente, e senza alcuna forma di coercizione, che finisce per produrre un plusvalore relativo ad attività spontanee, di vita, che nemmeno vengono riconosciute come lavoro in se stesse. Ma il web non potrebbe esistere senza l’umanità, e se l’umanità si trovasse a scomparire, un attimo dopo avrebbe fine anche l’attività del web, che dipende strettamente da quella mobilitazione umana, volontaria e su base gratuita. Perciò, sarebbe giusto ed equo ricapitalizzare quel plusvalore, che già, di fatto, appartiene all’umanità, per ripagare l’uomo della sua mobilitazione totale sul web. Ma come farlo? Ed è qui che entra in gioco il quarto livello, che è caratterizzato dall’antroposfera, cioè da quel capitale umano che è costituito da dati rilasciati al web, che esiste grazie all’umanità allo stesso modo in cui esistono i virus. Senza l’uomo finirebbe di esistere il web, e non ci sarebbero più virus sul pianeta terra. O almeno non ci sarebbero più quelli che vengono trasmessi e veicolati attraverso l’uomo. I dati del web rappresentano fatti della vita reale, intesi come azioni, movimenti, spostamenti. E l’interpretazione incrociata di quei dati produce un valore che le piattaforme conoscono molto bene, e che si fanno pagare a peso d’oro dalle aziende interessate ad acquisirli. I fatti però non possono che essere, sempre, la risultante di azioni umane concrete. Perché i fatti fanno la storia, e sono proprio gli esseri umani i suoi principali attori. La tecnica, però, ha costi sociali molto elevati. Eppure l’applicazione dell’IA nella medicina potrebbe essere indispensabile alla diagnosi precoce di molte malattie gravi ed invalidanti. O anche ritornare utile per liberare una quota di tempo da destinare ad altro, ad esempio sempre in ambito medico, alla cura del paziente o della relazione umana in senso lato. I costi sociali più elevati sono dovuti, oggi, al tabagismo, all’alcolismo e all’obesità, che si riversano su altre forme di malattie e di patologie che, a loro volta, presentano conti esageratamente elevati da sostenere per la comunità. Un altro problema è costituito dal quinto livello di questo ragionamento, che è rappresentato dalla biosfera, intesa come ambiente naturale nel quale noi esseri umani viviamo. Ed è ovvio che se non rispettiamo l’ambiente, salvaguardandone la sostenibilità, i primi a farne le spese siamo proprio noi viventi, che da un ecosistema malato non potremo più ricavare quelle risorse indispensabili alla sopravvivenza del genere umano. La decrescita felice, che non è contemplata dagli autori del testo come possibile soluzione dei problemi relativi allo spreco delle risorse, a mio modo di vedere potrebbe tornare utile nella riduzione degli eccessi della società dell’opulenza. La sovrabbondanza dell’occidente si può curare soltanto sottraendo il di più, piuttosto che continuando ad aggiungere il superfluo, perché il troppo rischia di produrre un futuro sommerso dai rifiuti. Con l’umanità nasce la tecnica, ma la tecnica e l’uomo stesso rischiano di scomparire se si continua ad avvelenare perversamente la natura, cioè l’ambiente in cui viviamo. Il pianeta, sic stantibus rebus, non potrà che giovarsene dalla scomparsa della specie umana. Non è l’umanità che deve salvare il pianeta, ma è l’uomo che deve rendersi operativo per salvare, in primis, se stesso. Ed è questo lo scopo della sostenibilità ambientale. Cosa fare dunque? La protezione della biosfera prevede alcune soluzioni comunemente praticabili, come mangiare locale, stagionale, e a chilometro zero; ridurre lo spreco e i consumi di plastica; curare il suolo naturale diminuendo la quota di aree cementificate anche nelle città; preservare la biodiversità delle specie; preferire le proteine dei legumi a quelle della carne perché, contrariamente a quanto fanno queste ultime, contribuiscono a ridurre il riscaldamento globale e l’impatto ambientale. E siamo così arrivati al sesto livello, che è quello della noosfera, ossia del patrimonio delle conoscenze, e dello scibile umano. Il sapere costituisce il capitale epistemologico dell’umanità. Le macchine dell’IA contengono le conoscenze documentali prodotte dagli umani. Ma perché abbiamo costruito le macchine? Per farci aiutare nei lavori pesanti. Ricordiamo tutti il detto dello scienziato greco Archimede che diceva: “Datemi una leva e vi solleverò il mondo”. Ecco, io piuttosto che di bastone - anche se è proprio il bastone il primo strumento utilizzato dalle scimmie e dagli animali in generale per aiutarsi a fare qualche operazione, ad esempio per prendere del cibo - parlerei proprio della leva, la prima rudimentale macchina che l’uomo abbia mai usato, cui segue la ruota, o l’invenzione, altrettanto rivoluzionaria, del fuoco. Successivamente abbiamo adoperato le macchine per calcolare, dalla pascalina ai pc. Poi abbiamo iniziato a programmare e a progettare in CAD e in CAM. E abbiamo portato questo sconfinato patrimonio di calcolo e di comunicazione online sui telefonini. Fino ad utilizzare oggi le neuroscienze per studiare i comportamenti umani e le patologie della mente, ma anche per sviluppare le macchine industriali, l’automazione e i robot, persino per uso casalingo, oltre che professionale. Ma le macchine hanno bisogno di noi per apprendere sempre meglio, imitando il comportamento dell’essere umano. Quindi, evidentemente, tanto imbelli non siamo. E siamo arrivati al punto che oggi le macchine vengono usate per fare soldi, vendendo alle società leader del settore quei dati ai quali sono interessate per poter implementare la propria attività e produttività. E a questo aspetto interessantissimo è necessario pensare. Perché è importante redistribuire questo enorme plusvalore del web, capitalizzandolo attraverso il webfare. Siamo così saliti al settimo livello di questa costruzione ideale, che è l’axiosfera, ossia la produzione di valore, patrimonio dell’umanità. I nostri dati, ceduti alle piattaforme, sono un capitale universale che appartiene a tutta l’umanità. Il progetto è quello di costruire Banche della Virtù, in cui i correntisti che hanno un lavoro potrebbero cedere volontariamente e gratuitamente i propri proventi per ridistribuirli e condividerli con quelli che hanno perso il lavoro, ma che si mobilitano gratuitamente sul web. Il ricavato di questa operazione finanziaria potrebbe essere equamente distribuito attraverso i dividendi per aiutare i più poveri, inizialmente in beni e servizi offerti gratuitamente, successivamente anche immaginando di poter sostenere chi è indigente ad aprirsi un conto in denaro presso queste banche della virtù, entrando in possesso di una quota capitale, in attesa di trovare un’occupazione stabile. Si andrebbe, così, a ridurre notevolmente l’incidenza della povertà sociale. La forma dell’accordo dovrebbe essere mutualistica, perché i dati appartengono a tutti. Si realizzerebbe dunque un’economia solidale dei dati. Lo spirito del webfare è proprio nell’espressione di Marx: “Da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo i suoi bisogni”. E qui si apre il tema centrale della formazione, che non può più scindere settorialmente lo scientifico, dal tecnologico e dall’umanistico. I tecnici del futuro devono avere solide basi di cultura generale ed umanistica, e dovranno essere tanto più umanisti quanto più saranno tecnici. L’istituzione di un gruppo di ricerca come Scienza Nuova prevede, difatti, una collaborazione stretta, così orientata, tra il Politecnico di Torino e l’Università, nell’intento di fondare una Comunità di Conoscenza ed Innovazione (CCI), che ha tra i suoi obiettivi la formazione; la ricerca applicata; il supporto dell’innovazione e la condivisione di conoscenze con la cittadinanza. Ma come funzioneranno praticamente il webfare e la banca della virtù? I correntisti chiedono alle piattaforme di essere pagati per le autorizzazioni concesse nella cessione dei propri dati personali. Il ricavato confluirà direttamente alla banca della virtù, in somme di denaro, che consentiranno ai senza lavoro – o a chi dovesse aver perso il lavoro a causa dell’automazione – di aprire autonomamente un conto corrente, grazie alla redistribuzione dei proventi ricavati; oppure di ricevere la dovuta ricompensa in termini di assistenza, di servizi, di formazione e di sostegno ai più socialmente fragili. Il futuro prevede la scomparsa dei vecchi lavori e la creazione di nuovi. Ma, soprattutto, ci si troverà a fare i conti con tanto tempo liberato dal lavoro delle macchine. Tempo che potrà essere investito in formazione ed educazione degli umani. Il consumo è l’attività prevalente di ogni umano, in quanto espressione di un bisogno. Il consumo, pertanto, è un valore in sé, che può essere capitalizzato nella forma dei dati ceduti attraverso le autorizzazioni rilasciate alle piattaforme. E veniamo alle conclusioni. Si può parlare di tecnodicea come Leibniz scriveva di Teodicea? La tecnica migliora la vita umana, ed è questo il suo scopo: essere di ausilio. Essa nasce con l’uomo, ed è un mezzo, uno strumento, un utensile, una protesi. Ma a governarla è sempre l’umano. Perciò, se si vuole migliorare la tecnica, bisogna migliorare l’uomo che se ne serve. Il male, avrebbe detto Agostino, non è una sostanza, ma è mancanza di Essere, e questa lontananza dipende dall’uomo, e dall’uso sbagliato che egli fa della sua libertà. E lo stesso si potrebbe dire per la tecnica. Essa non è Dio. Semmai è l’uomo il suo dio, che agisce come signore, rispetto alla tecnica. Le macchine non hanno volontà, non conoscono il desiderio, e non ambiscono a prendere il potere. L’uomo sì, e può farlo anche utilizzando le macchine. Quindi è dell’uomo che bisogna darsi pensiero e prendersi cura, al momento, e non delle macchine.
- A. Bellomo, A. Pistone, Il Comportamento Magico, Edizioni Wip, Bari 2021.
- M. Ferraris, G. Saracco, Tecnosofia, Editori Laterza, Bari 2023.
- Maurizio Ferraris è professore ordinario di Filosofia Teoretica dal 1995 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, Dipartimento di Filosofia e Scienze dell'Educazione, dell'Università degli Studi di Torino.
- Guido Saracco è un ingegnere chimico del Politecnico di Torino, ed è stato rettore di quella università dal marzo 2018 al mese di gennaio 2024.
- M. Ferraris, Intelligenza artificiale e intelligenza naturale, https://sanoma.it/articolo/intelligenza-artificiale-intelligenza-naturale?
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